Una moglie bambina (10 anni)_valore una capra (6 euro)

«Avevo solo dieci anni quando il nostro vicino cominciò a frequentare la nostra casa. I miei genitori mi ordinavano di indossare il vestito della festa, di preparare il tè e di essere molto cortese con l’ospite. Io ubbidivo senza pensare: per me era normale essere gentile. 

Mi sono sempre occupata degli altri, di accudire i fratellini, lavarli, preparare da mangiare. Ogni tanto i miei mi mandavano a casa del vicino a lavorare, aveva due mogli e tanti bambini; c’era sempre da fare mentre la famiglia lavorava i campi. 

Qualche tempo dopo arrivarono tutti i nostri parenti dai villaggi vicini per una festa. Dai discorsi delle mie zie capii che il giorno dopo avrei dovuto sposare un uomo: era il nostro vicino. Fui colta dall’orrore, quell’uomo era molto più vecchio di mio padre».

Clementina attese il buio della notte per fuggire. A piedi nudi e senza un soldo cominciò a correre più veloce che poteva. Due notti e due giorni di cammino per arrivare a Ouagadougou, capitale del Burkina Faso, dove viveva un’amica. 

«Ma lì non potevo rimanere, correvo il rischio di essere rispedita a casa, a Dudri. Per fortuna mi hanno dato l’indirizzo di una casa per ragazze dove mi hanno accolta». Clementina ha 18 anni, da quel giorno vive a Kombissiri, in uno dei cinque centri di accoglienza creati in tutto il Paese per le vittime dei matrimoni forzati, gestiti da suore burkinabesi dell’Immacolata Concezione. Le religiose accolgono le vittime dal 1955. «All’epoca lo facevamo in gran segreto. Poi è stato il governo a chiederci di intervenire apertamente», spiega suor Felicité Kaliala.

Secondo le stime ufficiali il 70 per cento delle bambine burkinabesi tra i 12 e i 15 anni – età in cui l’adolescente sboccia in una donna – è costretto ad abbandonare la famiglia per una vita di sottomissione a un marito imposto e a tutta la sua famiglia. «In tutto il mondo il matrimonio è un giorno di festa», spiega suor Marie Felicité Nikiema, «ma non in Burkina Faso. Qui la società è al 90 per cento rurale, le famiglie numerose devono vivere con meno di due euro al giorno spezzandosi la schiena nei campi. Il matrimonio delle figlie è considerato solamente come una strategia di sopravvivenza economica. Ecco perché vogliono disfarsi il più presto possibile delle bambine».

Di fronte all’opportunità di intascare 2-3 mila franchi (circa sei euro), o avere il piacere di vedere un’altra capra pascolare davanti alla capanna, le famiglie non esitano a «cedere» in moglie le loro figlie ancora bambine. 


Di norma il «pretendente» è un uomo sui 50/60 anni, già sposato con un paio di mogli, che ha bisogno di braccia per lavorare nei campi o nelle faccende domestiche. Secondo la tradizione Mossi, l’etnia maggioritaria del Burkina Faso, l’età giusta per far sposare le figlie è l’adolescenza, la pugsada come si dice nella lingua locale moreè.

 Clementina e le sue compagne, in presenza delle suore, non parlano di rapporti sessuali o violenze, sanno che verrebbero immediatamente consegnate ai servizi sociali governativi. Anche le ragazze che aspettano un figlio non sono accolte nei centri dell’Immacolata Concezione. «Se è incinta non è più ragazza», precisa una suora, «è una donna e appartiene a suo marito». Tuttavia una delle ragazze confida che in passato una compagna raccontò di essere stata incatenata e violentata più volte dal marito.

Nel rapporto dell’Unicef sui matrimoni precoci in Burkina Faso è riportata una cartella clinica dell’ospedale di Dori: ieri – scrive l’infermiera – è arrivata una bambina di nove anni. Era completamente devastata nelle parti intime e sanguinava. Era necessario un intervento chirurgico. Tra le donne che l’accompagnavano c’era un uomo un po’ anziano che credevamo fosse suo padre. 

Con sorpresa abbiamo scoperto che era suo marito, e non faceva niente per dissimulare la situazione. «Che sia chiaro: questa non è una tradizione islamica», tuona Gregoire Balima, il rotondo curato della chiesetta di Kombissiri, «questa pratica feroce di sposare le bambine è sempre esistita. È un rito animista che neanche noi cattolici siamo riusciti a sconfiggere». Il curato ogni 21 giorni organizza delle sedute per tentare di riappacificare i genitori con le figlie fuggite prima delle nozze. Spesso, racconta il religioso, deve chiamare la polizia prima che i fratelli ammazzino a bastonate le poverette.

Una tradizione tollerata. Il fenomeno dei matrimoni forzati coinvolge tre milioni di adolescenti burkinabesi, su 13 milioni di abitanti il 46 per cento della popolazione ha meno di 15 anni. Il codice penale del Burkina Faso, all’articolo 376, punisce il matrimonio senza consenso; ma ingannare la legge è facile perché i matrimoni forzati non vengono celebrati davanti all’ufficiale di stato civile, ma nei villaggi davanti al marabou. Il matrimonio forzato con una minorenne è socialmente e culturalmente tollerato dalla società.

 Tollerato a tal punto che la lotta del governo di Ouagadougou contro questa pratica tradizionale è focalizzata sull’assenza del consenso della sposa, invece che sulla precoce età delle bambine. «Giocano con i nostri sentimenti e la nostra coscienza», confida Pasqualina, una 17 enne di Kombissiri, «siamo portate con la forza a vivere con degli sconosciuti, a consumare il matrimonio nonostante la repulsione che ci ispirano i nostri mariti. La maggior parte del tempo ci sentiamo disprezzate, sporche, abbiamo solo voglia di morire».

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Fonte: Diario.it

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